Remeri

Il 15 settembre 1307 i Giustizieri vecchi, magistratura della Repubblica Veneta preposta al controllo sulle corporazioni di mestiere, approva lo statuto proposto dai rappresentanti degli artigiani addetti alla fabbricazione di remi e fórcole. L’arte dei remèri, intesa quale soggetto giuridicamente riconosciuto, durerà esattamente mezzo millennio: nel 1807, infatti, all’inizio del napoleonico Regno d’Italia, tutti i ‘corpi d’arte’ di Venezia e della terraferma lombardo-veneta – alla pari di monasteri, conventi e confraternite – verranno soppressi e i loro beni indemaniati.

Naturalmente i costruttori di remi e fórcole esistevano ben prima del 1307: Venezia – ormai da lungo tempo del tutto indipendente dall’Impero latino d’Oriente – almeno dal XIII secolo aveva la più importante flotta commerciale e militare del Mediterraneo, costituita essenzialmente da galere condotte a forza di remi: la sua straordinaria persistenza nel tempo quale Stato sovrano non avrebbe potuto essere tale in assenza di un’adeguata e continua disponibilità delle materie prime necessarie per allestire l’armata navale e per alimentare i commerci marittimi.

Eppure Venezia, sorta su una miriade di sterili isolotti fangosi al centro di una laguna priva di risorse, aveva bisogno di tutto: metalli, tessuti, pietre e laterizi, legna da ardere e da costruzione, olio e carbone, che giungevano in gran copia nei fondaci lagunari. Ed era il legname, innanzitutto, la materia strategica per eccellenza, necessaria non solo per le quotidiane necessità di una popolazione che fra Medioevo e Rinascimento superava le 150.000 unità, ma anche per le attività produttive che ne richiedevano largo uso quale combustibile; e per i ponti, i manufatti di segnalazione lungo i canali lagunari, le difese a mare e l’immensa flottiglia di imbarcazioni di piccolo e medio tonnellaggio che integrava la flotta marittima.

Distribuita nei mille cantieri dislocati ai margini della città e nelle isole della laguna, la costruzione navale soddisfaceva le esigenze sia della committenza pubblica che privata, mentre alla fine del XII secolo inizia a svilupparsi l’ Arsena Comunis: il grande “cantiere di Stato” dove si concentravano tutte le costruzioni navali per conto pubblico, nonché tutte le necessarie produzioni collaterali: dalla fabbricazione di gomene e vele alle fonderie per cannoni e bombarde e, naturalmente, alla fabbricazione dei remi.

Indispensabile per la Serenissima, il legname divenne anche la principale fonte di sostentamento per le popolazioni locali, specializzatesi nelle singole fasi produttive, dall’abbattimento nelle impervie foreste d’alto fusto al trasporto con carri e slitte verso i depositi di raccolta lungo i fiumi, dalla riduzione in stèle da remo – ricavate dai tronchi di acero e faggio mediante cunei e mazze – alla conduzione mediante zattere. Esperti “proti” dell’ Arsenale venivano inviati in sopralluogo per coadiuvare i “capitani dei boschi” nella scelta dei fusti più adatti, che venivano “marchiati” con il bollo di San Marco in quanto ‘riservati’ alle preminenti esigenze dello Stato. E sarà proprio il Cansiglio, grazie alle sue immense riserve di faggi, a diventare il “bosco da remi di San Marco” per antonomasia, dove maestranze locali, provenienti dai villaggi dell’Alpago, provvedevano a tutte le fasi preliminari al trasporto fluviale verso la Capitale lagunare.

Giunte infine a Venezia, le stèle riservate allo Stato venivano immagazzinate nelle officine dei remerì ubicate all’interno dell’Arsenale e quindi, quando conclusa la loro stagionatura, trasformate in remi da galera, mentre quelle destinate al mercato privato venivano distribuite in percentuali equivalenti fra le numerose botteghe sparse all’interno della città dove i maestri artigiani, coadiuvati da lavoranti e garzoni, le avrebbero trasformate in remi per gondole e peote, burci, burchielle e marciliane.

La fabbricazione di remi e forcole

Il lavoro consiste nel dare forma a dei pezzi di legno trasformandoli in remi e forcole. Per i remi si tratta di piallare delle lunghe tavole in modo che abbiano una maneggevole impugnatura conica, che diventa poi cilindrica per ruotare nel morso della forcola; il cilindro comincia ad allargarsi in una pala con linee e superfici tali da permettere al remo d’entrare ed uscire perfettamente dall’acqua, imprimendo alla barca il massimo della spinta con il minimo della fatica; la pala non è simmetrica e la parte superiore è molto diversa da quella inferiore. Piallando il legno si deve cercare d’entrare in confidenza con il pezzo: bisogna capire quali sono le scontrosità della sua venatura ma soprattutto capirne la sostanza, il carattere per sposarlo con le necessità del cliente. Ogni vogatore ha desideri diversi: c’è chi preferisce un remo più rigido, chi meno, chi un’impugnatura più grossa, chi vuole una linea più impalata (con la pala più all’insù) e chi meno, chi vuole che fletta un po’ in una certa posizione, chi lo preferisce più “in avanti”, chi più “indietro”.

Per le forcole si tratta di individuare la migliore forma che si possa ottenere da un quarto di tronco: le forcole da poppa per gondola hanno bisogno di una venatura dritta e di un pezzo sano di cm.21x28x90. Altre forcole sono storte, protese in avanti, ed è quindi necessario usare pezzi con la vena che si pieghi; è il legno vicino ai rami o alle radici, dove però più facilmente si trovano anche difetti: spaccature, vene intrecciate, midollo di rami, nodi. Spesso tagliare una forcola diventa così uno slalom tra pregi e difetti del legno e raramente, come del resto accade con i remi, si trova subito quella di cui si ha bisogno.