La vela al terzo, tipica dell’Adriatico, è caratterizzata dalla forma trapezoidale. Il lato più corto, rivolto a prua, è chiamato “colonna” o “da terra”, e quello opposto “ventàme” o “di fuori”. Il lato superiore, “di sopra”, e quello inferiore, “di sotto”, sono inferiti a dei legni chiamati “antenne”.

Questo tipo di vela ben si adatta alle imbarcazioni a fondo piatto, che grazie al grande timone “a calumo” – a scendere – risultano velicamente ben equilibrate e quindi in grado di risalire il vento. La denominazione “al terzo” è abbastanza recente, e si riferisce al punto in cui l’antenna è fissata all’albero: a un terzo circa della sua lunghezza a partire dall’estremità prodiera.

Anticamente l’utilizzo di questo tipo di vela era definito come armo a trabaccolo e solo nel tardo ‘700 si è arrivati all’attuale denominazione. Rappresenta il più naturale passaggio dalle più antiche vele quadrate e latine sino a giungere alla vela assiale, la marconi, espressione moderna della vela, in uso oggi sui moderni yachts.

È noto come nel ‘600 la vela latina fosse largamente diffusa in Adriatico nella marineria minore e come contemporaneamente fosse in uso anche la vela quadra, nella forma alta e stretta presente fino al ‘700. Tali vele venivano spesso variamente impiegate e ne abbiamo svariate rappresentazioni con posizioni diverse dell’antenna o del pennone superiore, in modo da sfruttare meglio il vento.

Si è quindi giunti per fasi successive alla realizzazione della vela al terzo con un lento e graduale passaggio – probabilmente sviluppatosi nella marineria minore tra il XVII ed il XVIII secolo – parallelamente a quanto avvenuto sulle navi maggiori per la vela di mezzana, originariamente latina, divenuta poi randa di tipo assiale, per fasi successive. Le più antiche testimonianze relative all’impiego di questo tipo di vela sono il noto bassorilievo nella facciata della chiesa di S. Maria del Giglio a Venezia (1680) ed gli atti notarili di P. F. Benedettini conservati a Rimini, pressoché contemporanei. La trasformazione molto probabilmente iniziata in alto Adriatico si è poi estesa sino ad arrivare in Dalmazia e lungo la costa marchigiana, diffondendosi poi in Egeo, parzialmente in Puglia e anche nel mar Tirreno.

In Grecia tale tipo di vela è denominato a bratzera, dal nome della piccola imbarcazione tradizionale, tipica della sponda orientale dell’Adriatico, che spesso incrociava i trehandiri o i perame provenienti dall’Egeo. I vantaggi che hanno portato ad una rapida diffusione della vela “al terzo” in un ambiente così restio alle novità, si possono sintetizzare in una migliore manovrabilità rispetto a quelle precedenti, nella conseguente diminuzione di uomini necessari alla sua manovra e nella sua ottima compatibilità con gli scafi a fondo piatto o a pescaggio minimo.

Sulle barche da pesca – fino al tramonto della vela – è risultata caratteristica la sua colorazione che era eseguita con la spugna e con colori facilmente reperibili, ricavati dalle terre. Questo trattamento, oltre a preservare il tessuto, consentiva di rendere identificabile da lontano l’imbarcazione e anche di riconoscere di notte le linee dei matafioni; usanza che ha dato il via alla fine del ‘800 ad una vera e propria araldica tra i pescatori.

Tratto da ArcheoVenezia trimestrale di informazione culturale Archeoclub d’Italia – sede di Venezia, Anno III, n. 4, dicembre 1993