L’Arzanà – associazione senza scopo di lucro, costituita con atto notarile nel 1992 – promuove la conservazione, lo studio e il restauro filologico delle imbarcazioni tradizionali, con l’intento di mantenerle ove possibile naviganti. Negli ultimi quindici anni ha acquisito una cinquantina di imbarcazioni dell’Alto Adriatico, molte delle quali “pezzi unici” nel loro genere, fra le quali le ultime “barche da lavoro” che fino a trent’anni or sono erano ancora d’uso comune in Venezia e nelle isole della laguna: dall’ultimo bragozéto da mar chioggiotto alle caorlìne valesàne o ortolane che trasportavano ogni giorno all’alba i prodotti delle valli da pesca o le primizie raccolte negli orti litoranei al mercato di Rialto; dalle batèle e dai batelìni da nasse, nati a Burano per la pesca endolagunare ma che per la loro versatilità e manovrabilità divennero ben presto la più diffusa imbarcazione commerciale a remi sia nei rii della città, sia per il trasporto di latte e pollame dalle campagne dell’entroterra a Venezia.
Dalle grandi barche da seràgie, utilizzate fino a pochi anni or sono dai pescatori di Burano per condurre le omonime reti nei bassifondali della laguna settentrionale, all’ultima grande peàta (oltre 350 quintali di portata) esistente a Venezia, costruita nel 1950 proprio negli squeri dove operava Eugenio e che, ormai non più in condizione di navigare, grazie alla disponibilità della Marina Militare è stata provvisoriamente sistemata su uno dei ‘scali da galea’ rinascimentali dell’antico Arsenale della Serenissima. Un ‘luogo del lavoro’ e della civiltà marittima mediterranea unico al mondo nell’àmbito del quale – assecondando una precisa disposizione legislativa dello Stato (il DPR Ciampi del maggio 2000, che ha identificato proprio in Venezia e nel suo Arsenale il polo culturale nazionale della marina italiana) – d’intesa fra la Marina Militare, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e l’Amministrazione locale veneziana, è da tempo allo studio l’istituzione del Museo Nazionale della Civiltà dell’acqua. Il quale ultimo non potrà certo prescindere da una fattiva sinergia con enti di ricerca e formazione che nel compendio dell’Arsenale avranno modo di operare, replicando l’ammaestrante esempio già ora concretamente offerto dal Consorzio Thetis, dall’Istituto di Studi Militari Marittimi o dall’istituenda sede unificata del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Sinergia che si auspica possa coinvolgere anche l’artigianato navale di alta specializzazione, al fine di offrire al visitatore l’idea di ciò che era un tempo l’antico Arsenale, rivitalizzandone le maestose cavità dismesse con gesti (il battere del martello o dell’ascia), odori (‘la tenace pece’) e colori.
Una destinazione alla quale l’Associazione Arzanà – come peraltro suggerisce il nome, mutuato da quello evocato dal sommo poeta nella Divina Commedia, riferendosi all’arzanà de’ Viniziani, dove bolle l’inverno la tenace pece a rimpalmar li legni lor non sani (Inferno, canto XXI) – potrà contribuire mettendo a disposizione le proprie collezioni. Fra le quali – oltre a quelle cui si è fatto cenno – modelli d’epoca e intere botteghe di artigiani squerariòli, remèri e alborànti che hanno cessato l’attività, le cui attrezzature sarebbero state altrimenti disperse, nonché gli ultimi due esemplari di barche comunali da regata costruite anteguerra (un puparìn e una mascaréta) e due sàndoli (da fòssina o faiaròto e s-ciopón, rispettivamente per la pesca con la fiocina e per la caccia) donati nel 2007 da Agostino Amadi, anch’egli prestigioso rappresentante di un altro ramo dell’omonima dinastia di costruttori di barche attiva nell’isola di Burano da almeno tre secoli.
Ben volentieri pertanto la nostra Associazione ha inteso promuovere la realizzazione di questo opuscolo in segno di gratitudine verso il cav. Eugenio Amadi, decano dei maestri d’ascia della Laguna Veneta. I numerosi splendidi modelli navali da lui costruiti, oggi donati al Museo storico Navale di Venezia, rappresentano infatti non soltanto una rilevante acquisizione per una delle più importanti collezioni marittime italiane, ma consentono finalmente a studiosi e visitatori di apprezzare un esaustivo spaccato della cantieristica lagunare del Novecento che ha avuto in Eugenio, nato nel 1915 e ancor oggi attivissimo, uno dei suoi protagonisti.
I testi qui raccolti, redatti ‘a quattro mani’ dal figlio Elvio e dall’etnologa Susanna Cadel – autrice di un’imponente tesi di laurea che ha saputo indagare a tutto tondo l’ultima grande stagione delle barche da lavoro in fasciame che precedette il dominio del motore, della vetroresina e del compensato marino – forniscono infatti molte inedite notizie sulle tecniche tradizionali in uso nei cantieri navali di Burano e confermano la versatilità dei maestri d’ascia di un passato ancora recente, frutto di esperienze tramandate di generazione in generazione. Maestri i quali erano in grado di ‘personalizzare’ nelle dimensioni, nelle forme e nelle caratteristiche costruttive le imbarcazioni da loro create, adattandole alla loro destinazione d’uso specifica e alle esigenze del committente. Maestri come il nostro Eugenio Amadi che, grazie ai suoi modelli realizzati con sapienza antica, ha saputo perpetuare il ricordo tangibile di tipologie navali, come la bragagnéta, il batelón o la batèla a coa de gàmbaro, d’uso comune fino agli anni Settanta e oggi dimenticate.
Giovanni Caniato
conservatore della collezione museale