A partire dal secolo XII tutte le attività cantieristiche private per la costruzione di grossi natanti “Squeri da nave” confluirono per volontà dello Stato in un unico cantiere pubblico: l’Arsenale ove concentrare le migliori maestranze e tutto il materiale selezionato di alta qualità occorrente alla costruzione delle navi e mantenimento della flotta, il tutto organizzato e assemblato lungo una efficientissima catena di montaggio con realizzazioni standardizzate che permettevano una rapida disponibilità di pezzi di ricambio.

La progettazione dello scafo era affidata al Proto cui competeva la tracciatura del profilo dello scafo con i “sesti” che sono dei regoli ricurvi usati per tracciare la linea del fondo e delle costole. La realizzazione era eseguita dai Maestri d’ascia depositari di maestria tramandata da generazioni, a seguire i Calafati che inseriscono corde di canapa tra le assi del fondo e dei fianchi il tutto impermeabilizzato da pece bollente e in successione completato da alberi, vele, corde, remi, timone, le armi di bordo e quant’altro sin al biscotto immancabile nutrimento per l’equipaggio.

Un simile ciclo di produzione completo e autosufficiente, consentì nel solo mese di Maggio del 1571 nell’imminenza della battaglia di Lepanto di varare ben 25 navi pronte a prendere il mare, una produzione impressionante di quasi una al giorno. La riservatezza delle tecniche costruttive era tale da celarne la vista esterna con l’innalzamento di altre mura di cinta e su tutto il complesso vigilavano due Patroni affiancati da tre Provveditori.

Le maestranze che operavano all’interno suddivise in reparti specializzati e organizzati come una efficiente fabbrica moderna erano detti Arsenalotti. Essi costituivano una comunità a parte nella città la cui giornata lavorativa era regolata dalla campana maggiore del campanile di San Marco detta Marangona ( marangon = falegname ) godevano di particolari privilegi come alloggiare in case di pubblica ragione nella adiacente zona di Castello ed erano mantenuti dallo Stato. Ad essi erano demandate anche funzioni di pompieri addestrati con barche e pompe appositamente ideate (nel 1574 e 1577 salvarono il palazzo ducale da incendi) oltre al compito di rompere il ghiaccio che impediva il transito dei natanti. Venivano impiegati giornalmente 1500-2000 operai con un picco di 4500-5000 iscritti al Libro delle Maestranze sempre disponibili in caso di necessità, ossia dal 2 sino al 5% degli abitanti allora censiti in 100.000.

Dopo la barbarica invasione napoleonica del 1797 che segnò la fine della Repubblica Serenissima, tra razzie e la sistematica distruzione delle attività produttive in primis dell’Arsenale con la cacciata delle maestranze, l’asporto degli armamenti, tutto il materiale utile. Una parte della flotta mentre la restante veniva demolita o data alle fiamme come avvenne per il Bucintoro, nave di rappresentanza del Doge i cui ornamenti smantellati vennero dai alle fiamme per tre giorni nel piazzale dell’isola di San Giorgio al fine di ricavare l’oro che li ricopriva e che tutti potessero vedere e subire l’affronto. Ciò che ne rimase anche dopo la dominazione austriaca, cessò ogni attività produttiva nel 1940.

Dante – Inferno XXI
Quale nell’arzanà de’ veneziani
bolle l’inverno la tenace pece
a rimpalmar i legni lor non sani
che navigar non ponno in quella vece
chi fa suo legno nuovo e chi ristoppa
le coste a quel che più viaggi fece
chi ribatte da proda e chi da poppa
altri fa remi e altri volge sarte
chi terzaruolo e artimon rintoppa
tal, non per foco ma divin arte
bollia là giuso una pegola spessa
che’nviscava la ripa d’ogni parte